31 luglio 2014

Ci scrivono dalla Fraternità San Pio X

Pubblichiamo e rispondiamo

                               31 luglio 2011, S. Ignazio di Loyola





Sinceramente, vi prego di consentirmelo, il vostro articolo del 31 maggio mi sembra imbarazzante, contraddittorio ed animato da pregiudizi personalistici che nulla hanno a che fare con la Fede Cattolica.
Quando, per esempio, l'accordo lo faceste voi del IBP non si trattava oviamente di "accordo di potere"? Lo abbiamo visto chiaramente qualche anno dopo di che accordo era... Ma siamo impazziti?
Se poi il riconoscimento della FSSPX fosse unilaterale non comporterebbe alcun accordo. Sarebbe sicuramente una cosa positiva perchè non esporrebbe la Fraternità a "golpe" tipo il vostro e quello dei FI. 
Insinuare, senza uno straccio di prove, che certo prova non è qualche sparsa citazione di Simulin, malafede, doppiogiochismi, ambiguità varie, ha solo il sapore di una amara presa di posizione perchè non si vuole ammettere di aver fatto una scelta sbagliata nel 2006. Questa è l'impressione che purtroppo date a quasi tutti i cattolici tradizionali italiani. 
Ripeto: il riconoscimento unilaterale non implica nessun accordo, nè ufficiale, nè ufficioso. Se, tanto per fare un altro esempio, una comunità acattolica mi consentisse di predicare ai suoi fedeli perchè, secondo quei capi, ciò che sosteniamo è comunque, per loro, positivo... dovrei forse rifiutare di salvare tali anime con la mia predicazione?
E se tale autorizzazione, ragion di più, me la fornisse il Papa legittimo, seppur dottrinalmente eterodosso, perchè dovrei rifiutare tale opportunità?
Vi prego dunqe di essere ragionevoli e di non farvi accecare, come in molte vostre prese di posizione, solo dallo spirito di rivalsa e dalla frustrazione che deriva dalla vostra infelice esperienza.
Vi ringrazio se vorrete rispondere a queste mie brevi righe, dettate solo dalla stima verso sacerdoti che considero comunque coraggiosi, anche se un po' troppo inclini al pettegolezzo.

Marco BONGI 




Ringraziamo Marco Bongi (articolista notoriamente ed evidentemente assai organico a certi vertici della Fraternità San Pio X) per averci scritto e - consentendogli di dire tutto quello che desidera - rispondiamo senz’altro alle sue obiezioni.


1) Innanzitutto notiamo che l’irritazione, di cui la sua lettera «dà l’impressione» e che «deriva» forse da certi tasti scomodi denunciati dal nostro articolo (come le ostinate ambiguità di Mons. Fellay, che emergono sempre più), sembra aver impedito all’interlocutore di leggere con la serena “ragionevolezza” da egli invocata l’articolo in questione. Né sembra siano stati letti con attenzione gli articoli presenti in questa sede che trattano del medesimo tema (che non stiamo qui a ripetere tutti: basta rileggerli) e neppure il chiaro articolo dell’abbé Simoulin («qualche sparsa citazione di Simoulin»?).

Noi siamo «impazziti», «acceca[ti] » e via dicendo…però il «pettegolezzo» ci pare si faccia alle spalle, di nascosto (o in privato che dir si voglia), non così le posizioni pubblicamente prese e sostenute in un articolo, sulle quali ci si può difendere a viso aperto e dibattere alla luce del sole. Questo sito ha posto - da tempo, ad ampio raggio e sempre pubblicamente - questioni scomode e attribuirle alla «frustrazione» o in genere a fattori «personalistici» (che è il classico metodo di tutti i regimi, da quello comunista a quello fraternitesco-fellayesco) per squalificare personalmente gli obiettanti - con una buona dose di demagogia - invece di confrontarsi sulle obiezioni, questo sì che è “inclinare al pettegolezzo”.

Sappiamo bene che la linea da “compromesso storico”  (tra FSSPX e “integrati” nel Sistema) ha avuto in questi ultimi anni una grande influenza su certe redazioni e su numerosi «cattolici tradizionali italiani», alquanto influenzati dalla cordata Mons. Bux - Abbé du Chalard. Sappiamo anche - con documentazione - per quali vie certe linee editoriali, ben popolari nell’ambiente, ancor oggi “ricevono consigli”. Questa rivista tuttavia (alla cui redazione partecipano chierici e fedeli laici), pur apprezzando le qualità dell’uno e dell’altro ecclesiastico, non apprezza affatto la linea da “compromesso storico”. Perciò, liberi dal pensiero dei “numeri” (e tra l’altro le valutazioni numeriche ci risultano alquanto più complesse e variabili di quanto asserito dal sig. Bongi), preferiamo fare il “terzo incomodo”, ovvero la voce critica. Con buona pace del bavaglio che ci era stato intimato, più o meno a nome del Vaticano, a riguardo in particolare di due articoli: uno che riguardava la Commissione “Ecclesia Dei” e l’altro, guardo caso…la Fraternità San Pio X! Curioso vero? Per l’immaginario collettivo appare assurdo…


2) Non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscere a Marco Bongi (e ai suoi referenti) che il nostro articolo del 31 maggio è «imbarazzante». Deve essere ben «imbarazzante» un articolo che, assieme ad altri (che preghiamo di andare a rileggere con minor spirito di fazione), pone, bene o male, delle obiezioni cui non si è in grado di dare «uno straccio» di risposta. Le riproponiamo di seguito, non avendo ancora avuto risposta:  1 - Perché la regolarizzazione canonica, comunque la si chiami, a detta dei capi della FSSPX nel 2006 era «impossibile» (e persino «inconcepibile») ed ora, come anche questo suo scritto conferma, almeno di principio non lo è più? E adducendo poi una giustificazione irrealistica: capi acattolici che senza alcuna contropartita affidano i loro fedeli all’apostolato cattolico! Suvvia! Senza contropartita? 2 -Perché mandare una domanda scritta di ritiro del decreto di scomunica prima costituiva una condizione, e persino una condizione inaccettabile (a detta di mons. Fellay), e poi, quando invece mons. Fellay la domanda scritta l’ha mandata, si è parlato di annullamento unilaterale del decreto, senza alcuna condizione? 3 - Perché di questa lettera, così strettamente collegata al provvedimento “unilaterale”, è stato diffuso - e stranamente da entrambe le parti - soltanto un brano, e non la lettera nella sua integralità? 4 - Perché di questo brano della lettera, preliminare al ritiro del decreto di scomunica, le parti hanno diffuso due versioni testuali diverse, entrambe virgolettate? 5 - Perché il primo fax diffuso da Menzingen riporta la stessa versione di Roma e non invece la versione successivamente diffusa dalla stampa fraternitesca? 6 - Perché mons. Fellay ha lungamente tentato di minimizzare e dissimulare la portata della versione del Preambolo Dottrinale da egli sottoscritta e inviata a Roma il 15 aprile 2012, nella quale (altro che «nessun accordo»!) egli esprime alcune posizioni dottrinali che “si allontanano in maniera impressionante” da quelle in precedenza professate da lui e dalla FSSPX?  7 - Perché nella lettera del giugno 2012 a Sua Santità Benedetto XVI Mons. Fellay, oltre a confermare la disponibilità anche sua a mettere da parte le questioni controverse pur di giungere all’accordo (ciò che in precedenza aveva riprovato), non afferma affatto un chiaro rigetto del preambolo dottrinale ? 8 - Perché, in questa lettera riservata a Roma, dice piuttosto che le ulteriori richieste vaticane non sarebbero passate per via del contesto del momento, e non del contenuto? 9 - Perché nel gennaio 2014, negando sue richieste di incontri con papa Bergoglio (pardon, con «il Papa legittimo», come il nostro contradditore si premura di precisare), egli non ha detto però di averci pranzato insieme un mese prima? Sì, sì, siamo “pazzi”, “accecati”, “amari”, “frustrati”, “pettegoli”… (finito?): ma dove sono, caro signor Marco Bongi, le risposte a queste scomode domande critiche?


3) Lei ci scrive: «quando, per esempio, l’accordo lo faceste voi dell’IBP non si trattava ovviamente di “accordo di potere”?». Rispondiamo senz’altro anche a questo tentativo di depistaggio dalle questioni poste nell’articolo (che erano altre, dell’IBP avendo parlato in altri articoli).

Che lo spirito di alcuni membri dell’IBP potesse essere effettivamente quello da lei indicato è purtroppo plausibile e già lo abbiamo scritto, senza aggirare le questioni scomode quando erano in “casa nostra”. Alcuni ritennero di essersi trovati in una sorta di necessità e ciò anche a seguito delle facili espulsioni, e sanzioni in genere, comminate come nulla fosse da Mons. Fellay (ci sarebbe tra l’altro da chiedersi cosa si deve pensare d’un Superiore Generale che - in una situazione come l’attuale - sanziona tutti…tranne sé stesso). Lo spirito di altri che aderirono all’IBP nel 2006 non era però quello descritto (anche se, purtroppo, non tutti hanno realmente perseverato sulla linea degli inizi, specie quando è venuto il momento di passare dalla teoria alla pratica): lo spirito di molti - che rivendichiamo con fierezza - era di essere insieme romani e combattenti, di tenere insieme la resistenza e lo spirito romano, di proteggersi insieme sia da ogni tendenza ereticale sia dallo spirito scismatico.

Aggiungiamo - con un po’ di realismo, la cui assenza sarebbe ben poco tradizionale - che bisogna un po’ tener conto anche…del contesto. Va bene che nell’area della FSSPX la tendenza a passare da un estremo all’altro è tutt’altro che rara, ma se Mons. Fellay giustifica qualsiasi contraddizione in nome del contesto, un qualche peso a tale fattore (sebbene secondario rispetto all’oggetto) va pur riconosciuto!  Nel 2006 infatti si era in attesa del provvedimento pontificio in favore della Messa tradizionale, oggi siamo in attesa delle “aperture” sinodali ai “divorziati risposati”!

Soprattutto sottolineiamo che il cuore della questione risiede nel punto seguente, a riguardo del quale il contraddittore si comporta con un marcato circiterismo (come fece a suo tempo, ad esempio, il teologo Kasper): gira attorno ai veri oggetti della disputa, senza addentrarvisi. Il punto capitale, per vedere se il nostro discorso è «contraddittorio» oppure no, è questo: qual è il criterio della fattibilità o meno dell’accordo canonico? Certamente, come tutte le cose umane, c’è da tener conto d’un insieme di elementi, ma il criterio sostanziale - aldilà del contesto - qual è?

Il Direttore di questo sito, allora seminarista, più ampiamente la rivista Disputationes Theologicae, ed oggi anche la nuova fondazione religiosa (di cui l’altro sacerdote venne punito dalla FSSPX - ormai da diacono! - perché «troppo papista»), disse : “se vengono richieste o meno cose in coscienza inaccettabili, o almeno troppo imprudenti”. Questa è la nostra posizione sul criterio della fattibilità o meno di un accordo. Sicché quello che sinteticamente e convenzionalmente viene chiamato “l’accordo” non è un assoluto, da fare a tutti i costi, ma - per spirito cattolico e non scismatico - neppure può essere escluso di principio, aspettando necessariamente la “conversione di Roma”. L’accordo può non essere immediatamente fattibile - dolorosamente - e questo va visto nel caso specifico, ma in sé è sempre desiderabile, anche se Roma - dolorosamente - ancora non ritorna alla Tradizione. La nostra condotta è ed è stata «contraddittori[a]» con questo criterio da noi sempre professato?

Secondo la tesi ufficiale della FSSPX di allora, che non ha mai ammesso una correzione a riguardo dandone delle giuste spiegazioni, il criterio della fattibilità dell’accordo risiede nella “conversione di Roma”, nel “ritorno di Roma alla Tradizione”: e questo (come è stato detto ripetutamente ed anche perentoriamente) dev’essere un preliminare irrinunciabile alla questione della sistemazione canonica. La condotta della FSSPX successivamente al 2006 è stata coerente con questo criterio allora professato da essa, dal suo capo (che è rimasto oggi lo stesso di allora) e dal suo Capitolo generale del 2006, che all’unanimità parlò solennemente - e perentoriamente - di questo preliminare irrinunciabile? La risposta, i fedeli di Mons. Fellay possono trovarla nello scritto da noi citato di un esponente autorevole come l’Abbé Simoulin, il quale, per tentare di essere galantuomo (come al fondo egli è), è costretto ad arrampicarsi sugli specchi, inventandosi una “Nuova Conversione” di Roma, teoricamente compatibile - guarda caso - con il profilo bergogliano (pardon, del «Papa legittimo»).

E vediamo un ultimo aspetto: questa rivista non ha forse criticato i mali anche quando questi riguardavano l’IBP? Tanto è vero che prima c’è stata un’intensa battaglia interna, poi una scissione del nucleo dei resistenti dell’IBP, pur piccola ma identitaria. Forse questa redazione ha criticato soltanto la FSSPX (come spesso avviene, soprattutto negli scorsi decenni) e non ha visto - o ha fatto finta di non vedere - i mali quando erano altrove? Ma lei ha letto realmente quello che scriviamo?


4) Nel 2006 abbiamo fatto «una scelta sbagliata», dice Marco Bongi. A noi sembra che la scelta sbagliata dell’IBP sia stata fatta successivamente, e che risieda nella scelta, tuttavia assai contrastata e combattuta, della maggioranza dell’Istituto (inizialmente una minoranza, poi divenuta passivamente maggioranza grazie all’opportunismo), la scelta di non tener duro proprio su quella linea del 2006, che da Roma ci si invitava a riconsiderare.

Tuttavia, in ogni caso, siamo disponibili a mettere in discussione le nostre scelte: ma saremo grati a questo paladino della FSSPX se ci indicasse qualche alternativa concreta. Non lo ha fatto lui, in attesa che lo faccia lo facciamo noi. Un esempio concreto: il direttore di questo sito nel 2006 era seminarista, nella FSSPX. Venne trasferito da Ecône all’Argentina perché manifestava dissenso dall’allora linea ufficiale della FSSPX secondo la quale la regolarizzazione canonica - necessariamente e per principio inderogabile - avrebbe dovuto seguire la “conversione di Roma”. Era la linea che trionfò ufficialmente al Capitolo del luglio 2006, sottoscritta all’unanimità. All’unanimità, dunque un tale principio fu votato anche da chi in realtà non ha mai cessato di lavorare per l’ “accordo pratico” (come lo chiamano) e…senza “conversione di Roma”. Ma a noi questo stile - os bilingue detestor - non piace e non è mai piaciuto, seppure a non pochi «cattolici tradizionali italiani», per riprendere le sue parole, piace o come minimo non dispiace troppo (pensiamo a quanto un sacerdote della FSSPX confidava qualche anno fa: i comunicati di Mons. Fellay erano «a doppio senso di lettura»; quel sacerdote è ancora oggi nella FSSPX).  Qual’era il senso di quel trasferimento nel lontano Sudamerica? Che ad Ecône delle voci critiche all’interno della FSSPX non erano ammesse e in Argentina invece lo erano? Suvvia: il senso logico era di mettere il bavaglio alle voci critiche, anche se tutt’altro che malevole, il senso era turare la bocca. Cosa avrebbe dovuto fare quel seminarista che in coscienza non era d’accordo, caro signor Marco Bongi? Avrebbe dovuto fare come alcuni che hanno accettato la punizione e sono poi tornati con tutt’altra posizione, al punto che ci si chiede oggi se non abbiano subito il lavaggio del cervello dopo la permanenza in Siberia? Avrebbe dovuto, quantomeno, accettare il silenzio in pubblico e il dissenso soltanto in privato (questa sì prassi «pettegola», non trova?), proprio come nella “Chiesa conciliare”? Oppure avrebbe dovuto “annullarsi” nel Sistema (essendo così meno scomodi per la FSSPX, che vorrebbe avere l’esclusiva della “questione tradizionale” e che perciò tollera singoli “di area”, ma non altri gruppi organizzati)? Quel seminarista non si è affatto pentito, in coscienza, di aver risposto no all’arbitrio della FSSPX, così come aveva risposto e, con la grazia di Dio, risponderà ancora no all’arbitrio di altri e di aver parlato - è un fatto - contro i mali sui due versanti nel 2006, di aver parlato contro i mali sui due versanti nel 2010, di parlare contro i mali sui due versanti nel 2014.


5) La nostra «esperienza» dell’IBP è stata così «infelice» come dice il nostro disputante? In effetti, dei motivi di sofferenza ci sono stati e noi non li abbiamo nascosti, parlando apertamente delle nostre gioie e dei nostri dolori. Ha letto l’articolo del 15 settembre 2013?

Però va detto anche che il gruppo dei pionieri dell’IBP, sebbene non numeroso, ottenne allora qualche risultato, controfirmato ufficialmente da Roma, positivamente nuovo: si pensi al riconoscimento, allora, del diritto all’uso esclusivo del rito tradizionale. E questa rivista pensa d’essere stata fedele, non da oggi, al proposito originario della critica costruttiva (che è un’altra cosa rispetto al “parlare soltanto in positivo” contrapposto dal “documento Pozzo” alla critica costruttiva). Il “golpe” di cui dice Marco Bongi nell’IBP c’è stato, ma non senza una dura battaglia: ed è una differenza con il caso degli FFI (e prima della Fraternità San Pietro). Differenza che il nostro contraddittore si guarda bene dal rilevare. Un punto di riferimento continuiamo a costituirlo, con questa rivista e con il nuovo raggruppamento di chierici. La nostra esperienza è così poco liquidabile come «infelice» che c’è chi la vede, in Vaticano come altrove (FSSPX inclusa), come fumo negli occhi, e sarebbe ben felice se questo punto di riferimento non esistesse.


6) Una qualche approvazione romana della FSSPX, ci si dice, sarebbe «sicuramente una cosa positiva perché non esporrebbe la Fraternità a “golpe” tipo il vostro e quello dei FI». Di fatto, i contatti tenuti - e mantenuti - soprattutto dall’Anno Santo 2000 in avanti, e sempre continuati (malgrado periodicamente se ne annunziasse l’interruzione e la rottura) hanno già “esposto” la FSSPX (che si guardi, ogni tanto, anche in casa propria…) a ripetute e ricorrenti rotture. Limitiamoci ai Vescovi: tredici anni fa, la FSSPX aveva quattro Vescovi  (dichiarati “compattissimi” e indivisibili), più uno, quello della comunità di Campos, dichiarato totalmente unito e solidale (sia nella posizione dottrinale che dal punto di vista operativo) con i suoi quattro confratelli della FSSPX. Oggi (Marco Bongi, amante del numero, faccia un po’ di calcoli) i Vescovi uniti e “compattissimi” sono passati da cinque a tre: meno quaranta per cento.

Il capo della FSSPX si è poi “esposto” a firmare un testo in cui afferma cose che fino agli anni precedenti nessuno avrebbe mai pensato (ad esempio, la legittimità della promulgazione del Novus Ordo Missae). Capo della FSSPX che a tutt’oggi non ha ritenuto di applicare a se stesso la durezza avuta con altri, all’esterno e all’interno, dimettendosi.

Bisogna scegliere: se si sostiene che anche non fare l’accordo comporta problemi e pericoli gravi (è la tesi sempre apertamente sostenuta da noi vecchi “accordisti dichiarati”), si pensi ad esempio agli aspetti “dietro le quinte” dei tribunali interni, allora si può - in parte - comprendere la condotta di Mons. Fellay che ha “esposto” la FSSPX ai rischi dell’accordo. Se invece le cose stavano come dettoci nelle sprezzanti risposte date alle nostre preoccupazioni e noi “accordisti” eravamo dei pericolosi “papisti fissati”, allora come si può difendere una conduzione tanto imprudente come è stata quella di Mons. Fellay? Decidetevi dunque…Ne avete dette di tutti i colori su chi ha fatto altre scelte, sappiate anche fare autocritica o almeno sopportare le critiche rivolte anche a voi.
                                                                                 

La Redazione di Disputationes Theologicae