29 giugno 2014

Episcopalismo, collegialismo e Sommo Pontificato

A fronte dei “venti episcopalisti”: studio su collegialità e dottrina cattolica


                29 giugno 2014, festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo,
Patroni della Chiesa Romana



La vera realtà del sinodalismo episcopalista


Introduzione

Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam.

Aedificabo, su questa pietra. Super hanc petram Ae-di-fi-ca-bo. Su questa pietra e su nessun’altra. Pietro - con i suoi successori fino alla fine dei tempi - è il fondamento, la rocca, la base, lo scoglio su cui la Chiesa di Cristo si costruisce. Rimosso il fondamento è l’edificio intero che crolla. 

A riprova di quanto detto basti ricordare che gli eretici d’ogni risma sono sempre stati accomunati dall’odio del Primato romano. Chi odia la Chiesa odia il Primato di Roma che ne è fondamento. E’ per questo che ogni discorso sul ruolo e sulla struttura gerarchica della Chiesa, sulla sottomissione gerarchica dei Vescovi a Pietro, sul governo della Chiesa non può mai essere una mera disquisizione sulla miglior forma di governo pastorale in questo o quel momento storico, ma deve necessariamente fondarsi su premesse dottrinali, rivelate da Cristo una volta per sempre, perché nessuno - nemmeno un Papa - può mutare il ruolo del Papa nella Chiesa. E’ il dogma della divina costituzione della Chiesa.

Non è sempre facile smascherare gli argomenti speciosi degli avversari del Primato del Romano Pontefice. Ai giorni nostri il vento dell’episcopalismo soffia con forza ed ha i suoi (effimeri) giorni di gloria; non arriva sempre alle grida aperte del Protestantesimo e al suo aperto “non serviam”, né arriva sempre al dichiarato sinodalismo degli scismatici orientali. L’episcopalismo, ieri serpeggiante oggi prorompente, si cela - da buon modernista - dietro formule più ammalianti per il mondo cattolico: “collegialità”, “governo collegiale”, “sussidiarietà”, “riforma del governo, ma non della dottrina”, “pastoralità” e via ingannando. E’ l’assodata tecnica dello svuotamento e dell’imbastardimento di certe nozioni dal sapore cattolico che già San Pio X denunciò. E’ il modernismo.

Per facilitare la lettura divideremo questo breve studio sul potere del Papa in capitoli, il primo - preliminare alla comprensione della problematica sollevata - è la distinzione fra potere di giurisdizione e potere d’ordine; analizzeremo in seguito alcuni punti del documento conciliare Lumen Gentium sulla “collegialità episcopale”, ricordando che su tale punto lo scontro nell’aula conciliare fu dei più accesi prima di giungere ad un certo compromesso con la Nota Praevia. Anche quest’ultima è oggi largamente scavalcata dai modernisti, tuttavia resta la constatazione che un tempo su questioni così capitali - e pubblicamente contestate - la Chiesa definiva con cura, passando dall’implicito all’esplicito, l’assenza delle dovute precisazioni invece ha di fatto permesso che alcune deviazioni dottrinali trovassero libero agio.


I) Potere d’ordine e potere di giurisdizione. 

Una distinzione capitale

Un autorevole teologo domenicano, Padre de la Soujeole, affermava recentemente nel suo intervento orale «Le vocabulaire et les notions à Vatican II et dans le Magistère posterieur» del 16 maggio 2009 al Congresso di Tolosa della Revue Thomiste sull’ermeneutica della continuità tra Vaticano II e Tradizione, che il Concilio Vaticano II aveva in certo modo sancito l’abbandono della distinzione tra ordine e giurisdizione nell’ecclesiologia. Di fatto a partire dagli anni Settanta la distinzione - considerata dagli ecclesiologi irrinunciabile fino ad allora - scompare, con l’inveterata tecnica di far scordare le grandi verità per “desuetudine”. I testi conciliari non brillano certo per la chiarezza su questo argomento, anzi è forse uno dei temi trattati nella maniera più ambigua e confusa, con ritorni continui sul tema. Non si arriva tuttavia ad un rigetto esplicito della distinzione, ma ad un implicito invito a non più occuparsene nei termini consacrati dalla Chiesa per secoli. Ne fanno le spese le definizioni del potere papale e di quello vescovile, di qui l’importanza primaria di riportare il riflettore su tale insostituibile distinzione.

Un discorso coerente infatti sul potere di cui gode il Sommo Pontefice sulla Chiesa non può prescindere dalla distinzione tra potere di giurisdizione e potere d’ordine. Per San Tommaso tale distinzione è capitale ed “esclusiva”[1]: questi due sono i poteri nella Chiesa e non ve n’è nessun altro («In Ecclesia non est aliqua spiritualis potestas nisi ordinis seu iurisdictionis»[2]).

La Chiesa non è solo guidata dall’interno, per così dire, da Cristo-Capo che influisce con la grazia capitale, ma è anche - sottolinea San Tommaso - guidata dall’esterno: dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo è necessario che dei ministri visibili restino su questa terra, costituiti per guidare il gregge e per potergli amministrare i Sacramenti.


Potere d’ordine

Vi è dunque un potere dato da Cristo ad alcuni uomini in relazione ai Sacramenti e specialmente all’Eucarestia, esso è conferito a dei ministri, che «agiscono in persona Christi in funzione della consacrazione che hanno ricevuto»; il Padre Bonino, in un articolo che raccoglie ed analizza i testi del Dottore Comune sui “due poteri” -  articolo non a caso consacrato al posto del Papa nella Chiesa - così definisce il potere d’ordine: «il potere d’ordine o potere sacramentale, conferito in maniera indelebile dalla consacrazione dell’ordinazione, non è niente altro che questa partecipazione ontologica alla virtù santificante del Signore che si esercita nei Sacramenti e principalmente nell’Eucarestia»[3]. Un potere quindi che si riceve in virtù d’una consacrazione e che dà questa misteriosa partecipazione all’opera santificante di Cristo, ad esempio dando al sacerdote la capacità di consacrare il Corpo di Cristo. Il conferimento di tale potere tuttavia non implica necessariamente che si abbia in virtù di esso una potere sul gregge; non basta essere validamente sacerdote o vescovo per avere “automaticamente” un potere sulla Chiesa. Quest’ultimo è un altro potere, distinto dal potere d’ordine. 


Potere di giurisdizione

Nostro Signore prima d’ascendere al Cielo volle disporre la società da Lui fondata in modo che Egli potesse continuare a governare la Chiesa per mezzo di suoi ministri e affidò il timone della barca all’Apostolo Pietro. Il proprio della Messa dei Santi Sommi Pontefici ricorda che essi furono costituiti sulle genti e sui regni per edificare, fondare, svellere, distruggere e piantare in funzione dell’innalzamento dell’edificio mistico: «ecce constitui te super gentes et super regna ut evellas et destruas et aedifices et plantes» (Ger. 1, 9-10).

Nostro Signore volle che i Suoi Vicari godessero d’un potere di governo, di direzione, di guida, di coercizione su tutte le pecore nessuna esclusa. Tale è la corretta esegesi del «pasce agnos meos, pasce oves meas» (Gv 21, 15-17). Conduci ai pascoli le pecore, gli agnellini e gli agnelli più maturi (il “probatia” greco, le giovani agnelle d’allevare), ovvero l’integralità del gregge, nessuno escluso[4]. Tutto l’insieme è affidato a Pietro. Ed a lui, coi suoi successori, il governo del Corpo mistico è affidato “immediate”. “Immediate” ovvero senza mediazioni, Pietro ricevette “immediatamente” da Cristo il potere su tutta la Chiesa e “immediatamente” da Cristo lo ricevono tutti i suoi successori. Tale potere fu dato solo a Pietro che lo ricevette da Cristo, come da Cristo lo ricevono i suoi successori[5]. Non è una delegazione della Chiesa, non è un potere conferito dal popolo - né dall’insieme dei Vescovi - al capo: Pietro è investito immediatamente da Cristo della “intensive summa extensive universalis potestas” su tutta la Chiesa. Questo straordinario ed unico potere dato al Papa per agire come Vicario di Cristo sulla Chiesa universale è un potere di giurisdizione, un potere di governare e di ordinare nella società i mezzi in vista del fine, preservando la verità rivelata, difendendo dai nemici e dall’errore la Chiesa e governandola secondo la sua divina costituzione, la quale è stabilita non da un Papa, ma da Cristo stesso di cui è Vicario.

Tale potere di giurisdizione - sottolineiamo a caratteri cubitali - è un potere distinto dal potere d’ordine. Ciò a tal punto che, in sé, un Papa può avere il pieno potere giurisdizionale senza godere del potere d’ordine. In sé un uomo battezzato può essere Papa, già potendo esercitare la somma giurisdizione connessa al Papato, senza nemmeno essere sacerdote. Fosse ancora un semplice battezzato, già potrebbe dar ordini ai Vescovi, promuoverli o deporli. 


Papa e Vescovi

Capitale è questa distinzione per afferrare quale sia la potestas pontificia, quale sia il potere giurisdizionale dei Vescovi diocesani o più ampiamente dei “prelati” - che è un potere mediato e ristretto - e quale sia infine il potere sacramentale di chi ha la consacrazione episcopale valida.

Afferrata questa distinzione si capisce che il Pontefice Romano - validamente eletto e validamente accettato il munus - gode di un potere sulla Chiesa che non soffre restrizioni per essere condiviso coi Vescovi, ma che anzi (secondo la sana metafisica della partecipazione) è causa, principio, fonte del potere di giurisdizione dei Vescovi diocesani[6]. Quest’ultimo invece è (e sempre sarà) un potere ristretto e mediato. “Ristretto” perché non sarà mai “sommo” come quello papale e perché riceve i limiti dal Papa il quale, pur rispettando la divina costituzione della Chiesa che prevede l’istituzione vescovile[7], può restringerne l’ampiezza essendone lui la fonte o può addirittura privare completamente di esso un determinato soggetto, deponendolo. “Mediato” perché il potere di giurisdizione vescovile non è ricevuto immediatamente da Cristo in virtù della consacrazione episcopale, ma è ricevuto in maniera “mediata”. Mediante cioè il Papa, detentore delle Chiavi e di quella “intensive summa et extensive universalis potestas ecclesiastica”, in virtù della quale può essere conferita al Vescovo la giurisdizione su un gregge determinato, “passando” - per così dire - per il Papa e non in un “passaggio” diretto tra Vescovo e Cristo (come vorrebbero i gallicani di ieri e i collegialisti di oggi). Ciò che invece il Vescovo validamente ordinato riceve senza necessaria mediazione del Papa è il potere d’ordine, ovvero quella speciale consacrazione che lo rende successore degli Apostoli quanto al potere in materia di Sacramenti, non però di governo[8].

Se si rinuncia a distinguere potere d’ordine e potere di giurisdizione non resta altro che un vago, magmatico e travolgente potere vescovile-apostolico, del quale sarebbero detentori (in maniera che mai nessun teologo ha saputo veramente precisare) tutti i vescovi della Chiesa validamente ordinati in virtù della loro consacrazione. Il Vescovo, per il solo fatto d’essere consacrato tale, deterrebbe un potere sulla Chiesa intera, lo deterrebbe per sé, lo deterrebbe senza mediazione papale quindi quasi “indipendentemente” dal Romano Pontefice, che non è più la fonte, ma al limite (in alcune versioni “moderate”) soltanto la condizione[9]. I Vescovi deterrebbero da Cristo stesso, in virtù della consacrazione, non solo il potere d’ordine, ma anche un certo potere di giurisdizione sulla Chiesa intera ed essi, nel loro insieme, sarebbero in un certo modo già di per sé atti ad esercitarlo. E’ una versione giurisdizionale di ciò che fiorì all’epoca del Conciliarismo: si riconosce all’insieme dei vescovi un potere di giurisdizione sulla Chiesa intera e ciò anche se in teoria si continuasse a lasciare al Papa la determinazione del gregge particolare (a quale titolo il Papa continuerebbe a detenere tale potere, in una simile prospettiva, non sempre è chiaro)[10]. Infatti in questa tesi si parla d’un potere giurisdizionale sulla Chiesa universale in virtù dell’incorporazione al “collegio apostolico, che verrebbe a fondarsi in ultima analisi sul potere d’ordine validamente conferito nella Chiesa, e facendo in parte astrazione dal gregge particolare assegnato.  E’ evidente che in tale tesi il Papa pur non divenendo sempre ufficialmente un semplice “primus inter pares” alla moda degli scismatici orientali, non è più fonte del potere giurisdizionale come lo è l’unica sorgente per il fiume, ma egli sarebbe solo un torrente più grande che si congiungerebbe alla “forza giurisdizionale” già insita nei vescovi, i quali con Lui avrebbero titolo a governare la Chiesa universale. Ed il Vescovo di Roma non è più il Vescovo dei Vescovi, l’Episcopus Episcoporum detentore delle Chiavi di Pietro, ma è un Vescovo in più da sommare (forse concedendogli un po’più d’onore) al numero dei Vescovi totale.

Qui risiede il problema, in tale prospettiva infatti i Vescovi non governano solo con potere ordinario, benché mediato e ristretto, una porzione del gregge assegnata loro dal Papa, ma governano - ed avrebbero radicalmente titolo a farlo - sulla Chiesa universale, e ciò principalmente in virtù del potere d’ordine. Il dogmatico Vaticano I tuttavia ha definito solennemente che i singoli Vescovi pascono i singoli greggi loro affidati - assignatos sibi greges singuli singulos pascunt et regunt[11] - e nessun documento della Scrittura, della Tradizione o del Magistero ha mai insegnato l’esistenza d’un potere supremo di governo dell’insieme dell’episcopato sulla Chiesa universale. Vi è solo, ripetiamo, un potere mediato e ristretto che deriva dal potere papale, come ogni rivolo deriva dall’unica sorgente, il potere papale, che - essendo sommo e immediato - non ha bisogno del concorso del potere giurisdizionale vescovile perché ne è la fonte.


Segue...                           
                                                                                                                     
Don Stefano Carusi






[1] S. T. BONINO, La place du Pape dans l’Eglise selon Saint Thomas d’Aquin, in Revue Thomiste (1986), p. 393.
[2] S. TOMMASO D’AQUINO, In IV Sent., d. 24, q. 3, a. 2, q.la 2, ob.3.
[3] S T. BONINO, cit., p.395.
[4] T. ZAPELENA, De Ecclesia Christi, Roma 1955, t. I, p. 283, 284. Da notare anche il doppio l’uso nel greco dei verbi “boskein” e “poimanein”, nei sensi più propriamente di “pascere” (il primo) e di “regere” (secondo).
[5] S. TOMMASO D’AQUINO, In Jo, XXI, lect. 3; S.T. BONINO, cit., p. 395.
[6] LOUIS BILLOT, De Ecclesia Christi, Roma 1921, l. II, q. 13, th. 26, n.828 e ss; q. 14, th. 28, n. 864 e ss. S.T. BONINO, cit., p. 413, 419, l’autore, commentando S. Tommaso, fa chiaro ricorso alla filosofia della partecipazione per spiegare l’ “eminenza” del potere papale e il “potere partecipato” dei vescovi. 
[7] Denz., nn. 3112-3117.
[8] L. BILLOT, cit., l. II, q. 9, n. 499 e ss; q. 15, n. 1074 e ss; B. GHERARDINI, La Chiesa mistero e servizio, Roma 1994, pp. 207-219.
[9] Su alcune tesi teologiche al riguardo e sulla loro compatibilità con la dottrina cattolica cfr. L. BILLOT, cit., l. II, q. 15, n. 1071, 1072; T. ZAPELENA, cit., l. II, p. 105-108.
[10] Cfr. nota precedente.
[11] Denz. n. 3061.