6 dicembre 2013

Le ragioni di una battaglia: la parola agli esempi

Identitari



Nella Novena dell’Immacolata 2013 


Abbiamo recentemente letto tre discorsi, che in estrema sintesi proponiamo ai lettori di questa rivista. Tali esempi concreti - sono fatti! - confermano delle tesi già esposte su queste colonne, mostrando più di qualsiasi discorso il senso della battaglia di alcuni membri dell’IBP (battaglia per la quale anche a Roma c’è chi prega, come ci hanno detto loro stessi); e mostrano la profonda erroneità del solito argomento dell’alleanza tra l’ideologia e l’opportunismo, ovvero il primato dell’unità su verità e giustizia. 


    1)   Una recente omelia solenne di un alto esponente della Fraternità San Pietro

Il 16 novembre di quest’anno l’abbé Ribeton, Superiore del Distretto di Francia della FSSP, ha celebrato a S. Sulpizio rievocando i venticinque anni di tale Società. Leggendo il testo (neppure breve) di tale omelia - a parte l’inesattezza dell’avvenuta concessione alla FSSP delle condizioni previste nel protocollo “Ratzinger-Lefebvre”, giacché il Vaticano (diviso e condizionato) non ha osato dare il Vescovo a chi ha scelto di fare l’accordo - ci ha colpito un’assenza: non troviamo menzione della “buona battaglia”! Si parla di venticinque anni nell’ubbidienza, ma anche nella “buona battaglia”, che dunque è “in positivo” ma anche “in negativo”? La questione si pone: la Fraternità San Pietro vuole fare una battaglia dottrinale? Il dramma odierno è soltanto «la cultura della morte in una società secolarizzata […] la follia di un mondo senza Dio», oppure è anche l’«autodemolizione della Chiesa», ammessa dal Papa Paolo VI? C’è o non c’è una crisi nella Chiesa? Non un “tradizionalista”, ma un centrista autorevole come il Card. Ratzinger, non ha forse dipinto proprio nella famosa conferenza dell’estate 1988, una situazione interna oggettivamente anormale? 

E’ invece presente un’altra prospettiva:  «Tali parole del Santo Padre mostrano che le misure prese a partire dal 1988 non sono una parentesi misericordiosa ma l’affermazione d’un diritto di cittadinanza, d’un pieno riconoscimento». E più passi dell’omelia presentano il sapore della piaggeria. 

Leggendo un tale discorso, dopo un quarto di secolo dalla regolarizzazione, ci è tornato in mente quel che disse una volta l’abbé de Tarnouarn, il quale osservò con sagacia che la Fraternità San Pietro viveva il complesso dei dhimmi: cristiani tollerati in paesi musulmani, sempre in cerca di legittimazione. Vien da chiedersi se la Fraternità San Pietro, certo seria e storicamente con qualità pregevoli, si sia più ripresa dal commissariamento dell’Anno Santo 2000. E ci torna in mente quanto dei confratelli di tale società ci dissero in privato: il nostro errore è stato quello di accettare tutto in silenzio; e adesso è troppo tardi! Volete finire così? Noi no: e perciò combattiamo. 

   2)   La più recente (a quanto sappiamo) sanzione draconiana nella Fraternità San Pio X

Abbiamo recentemente letto, da fonte diretta, il testo (datato 11 novembre) della “condanna” da parte del Superiore Generale Mons. Bernard Fellay dell’abbé Pinaud, un esponente della cosiddetta “ala dura” di tale società. Evidentemente la corrente di pensiero del condannato non è la nostra, ciò non toglie che si resta colpiti dalla durezza ancora maggiore di una tale condanna: questo sacerdote è stato privato dal Superiore Generale della facoltà di compiere ogni atto sacerdotale (peraltro con riferimenti al potere di giurisdizione, che Mons. Fellay non dovrebbe certo possedere), il “condannato” non può più dir Messa nemmeno in privato! E ciò, in buona sostanza, perché egli si è opposto a Mons. Fellay. Non dubitiamo che questo confratello avrà commesso degli errori: ma non dovrebbe Mons. Fellay andare più a fondo, anziché ricorrere a scorciatoie autoritarie? Aspetti che in parte sono comprensibili nella difficile situazione concreta, ma che ricordano anche taluni deprecati fenomeni nel campo ufficiale. 

Ricordiamo che, solo pochi anni luce fa, il medesimo Mons. Fellay spediva da un capo all’altro del mondo dei chierici, semplicemente perché di sentimento notoriamente romano-accordista. E conosciamo dei sacerdoti che, dopo aver accettato siffatte sanzioni, ne sono usciti con tutt’altra posizione, in modo tale che vien da chiedersi se non abbiano subito una sorta di lavaggio del cervello. 

La stessa Dichiarazione capitolare del 2006 arrivava al punto di escludere di principio la possibilità dell’accordo canonico-ecclesiale finché la crisi nella Chiesa restava aperta: una tale Dichiarazione è grave (molto grave!), perché altro è dire che purtroppo un bene non è eventualmente conseguibile nell’immediato e tutt’altro è escluderlo di principio. E ciò è stato approvato all’unanimità! Così è stato scritto pubblicamente nella stampa ufficiale della FSSPX, e non uno solo dei Padri capitolari si è levato per smentire pubblicamente una tale asserita unanimità. 

Qualche anno luce dopo, il medesimo Mons. Fellay è apparso seguire tutt’altra prospettiva - senza dare adeguate spiegazioni di un tale cambiamento - ed è giunto al punto di mandare a Roma una Dichiarazione (pubblicata soltanto quando ormai non poteva più nasconderne l’esatto contenuto, che fino ad allora era stato riferito molto liberamente), la quale va ben oltre l’aborrito “accordo pratico”, come lo chiamano. Il contenuto è infatti ciò che, fino a poco prima - e se lo avessero fatto altri - sarebbe stato ufficialmente considerato dalla San Pio X come un detestabile “compromesso” dottrinale, anzi: su qualche punto addirittura una “capitolazione”. 

Il piano, benché in fase avanzatissima, non è andato allora in porto: ma quanto pochi anni prima era impossibile, disinvoltamente è diventato possibile nella successiva Dichiarazione capitolare. E le ragioni del cambiamento? Legittimamente ci si può chiedere: non si può comprendere chi - prendendo sul serio le precedenti dichiarazioni di segno opposto e le condotte ufficiali della FSSPX - è rimasto sconvolto, ha gridato al tradimento e ha tentato di comportarsi di conseguenza? “Chi semina vento, raccoglie tempesta”…eppure, in luogo di una seria (e pubblica, come dicono sempre…) riflessione critica sull’accaduto e sulle sue cause profonde, si è preferito reprimere con durezza ogni voce critica. Come nella FSSPX spesso accade.

Cari confratelli della FSSPX, siete tutti disposti ad accettare tutto ciò? Siete disposti a dare a Mons. Fellay quella fiducia cieca che negate sistematicamente a Roma, perché sostenete (come diceva Mons. Fellay nel 2002), talvolta anche giustamente: non possiamo rinunciare a pensare?  Noi pensiamo proprio di no: e perciò facciamo blocco su un'altra linea e portiamo avanti questa battaglia. 

   3)   Una recente intervista dell’Abbé Aulagnier, che dirige il Seminario dell’IBP (post?)-commissariamento

In una intervista pubblicata su Vue de France del 15 novembre 2013 parla l’abbé Paul Aulagnier, che, tra i fondatori dell’IBP (ma allora anche sedicente membro della FSSPX), è l’ultimo sacerdote ad iscriversi all’Istituto del Buon Pastore, nel novembre 2011 (giusto in tempo per votare al discusso Capitolo del 2012, che ha consentito al Vaticano di commissariare e quanto consegue). In tutta l’intervista egli afferma che la sua posizione non è cambiata da quando era un dirigente di spicco della FSSPX (per l’esattezza, rileviamo noi, il principale affossatore, nella riunione del Pointet, dell’accordo del maggio 1988). Questo non ci fa molta meraviglia perché solo tre anni fa, davanti a quaranta persone dopo le ordinazioni, qualificava la Messa celebrata secondo il Novus Ordo con termini escrementizi, solo due anni fa perentoriamente la giudicava come “Messa di Lutero” e ancora quest’anno negli appunti per i seminaristi ha affermato che “non è una vera Messa”. Però ci chiediamo: perché allora chiama ufficialmente a fare da direttore spirituale un sacerdote biritualista della diocesi di Parigi? Oggi esalta Roma in maniera quasi idolatrica, ma chiama ad insegnare l’ecclesiologia un sacerdote vagus, che per le Cresime con il Vescovo locale usava solo il più puro “olio d’Econe”, perché è “più sicuro”. Dice ai seminaristi che farà tutte le conferenze spirituali dell’anno sulla teologia del sacerdozio secondo il Beato Giovanni Paolo II - perché «sarà presto Santo» -, ma in novembre s’interroga come possa essere santo lo scomunicatore di Mons. Lefebvre (riprendendo pedissequamente l’“argomentazione” dell’abbé de Caqueray). E tutto ciò nel novembre 2013! Vi è una linearità in tali affermazioni? 

Sicché,  nella consapevolezza del danno che l’autoritarismo arreca al gran valore dell’Autorità, ci chiediamo: la vera “terza via” può consistere nell’adottare in certe circostanze (più pubbliche) il linguaggio e le idee della Roma anche odierna e in altre occasioni (più private) il linguaggio e le idee di Econe anche nelle fasi più “dure”?  Noi diciamo di no: e per questo non ci rifiutiamo di fare neppure questa battaglia. 

Nella consapevolezza, da una parte della vanità di certe furbizie politicanti (come la storia e anche la cronaca mostrano ad abundantiam); e d’altra parte - come ha recentemente sottolineato un nostro antico seminarista su una rivista amica - l’ammissione iniziale da parte della Segnatura di uno dei nostri ricorsi, a prescindere dal suo esito nelle fasi successive del procedimento, ha già conseguito un importante risultato. E’ infatti sconfessata la posizione seguita quest’estate da tutto l’Istituto dei Francescani dell’Immacolata (pur assai lodati dalla FSSPX, il cui Superiore proprio questi giorni li ha definiti addirittura «vicini a noi quasi per natura»): ovvero la tesi secondo cui i provvedimenti di questo genere sono sicuramente e assolutamente “non impugnabili”. Tesi questa inserita nella mentalità dell’ubbidienza cieca, logica che oggi in tante realtà ha aperto la via alla piena accettazione di tutto: del Novus Ordo e del…Novissimus Ordo, del post-Concilio ufficiale e del post-Concilio di fatto (incluso quello abusivo), dell’ermeneutica della continuità e di quella “martiniana” (di fatto impunita, con Vescovi e pure con Cardinali)…siamo disposti ad accettare tutto ciò? Noi no: e perciò, accettando invece la dolorosa maturazione che viene dalle contrarietà permesse dalla Provvidenza, resistiamo.


                                                                                                   Don Stefano Carusi
                                                                                                   e gli altri resistenti dell’IBP