5 settembre 2011

Accordo Roma-Ecône: “Abbiamo scherzato”?

Nota sugli sviluppi di una disputa teologico-ecclesiale






Sono in crescita le voci sulla possibilità di un imminente accordo tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede, collegata alla concessione di un Ordinariato personale e alla convocazione a Roma il 14 settembre del Superiore Generale della FSSPX con i suoi due Assistenti.
Naturalmente, è bene ricordare, voci e certezze non automaticamente coincidono; qualcosa tuttavia c’è. In pochissimo tempo, infatti, si sono registrati sulla materia più interventi: l’abbé Franz Schmidberger, Superiore emerito della FSSPX; Mons. Richard Williamson, uno dei quattro vescovi consacrati da Mons. Lefebvre, ha confermato il dato, ma con valutazioni assai differenti (e a suo tempo, ricordiamo a chi l’avesse dimenticato, Mons. Bernard Fellay negò l’esistenza di divisioni tra i vescovi, attribuendo ciò a malevole rappresentazioni esterne); infine il Superiore di un distretto FSSPX importante come quello italiano, don Davide Pagliarani, è intervenuto rispondendo ad alcune obiezioni. E’ soprattutto quest’ultimo intervento che ci spinge a tornare sulla questione, per il motivo che diremo. In ogni caso, l’incontro del 14 settembre è certo.


Quanto a noi, di per sé non potremmo che rallegrarci se infine la FSSPX farà quella che, peraltro, sostanzialmente è la nostra stessa scelta (finora trattata come roba da traditori; maltrattati, puniti e disprezzati): cioè un accordo sostanzialmente pratico-canonico, congiunto alla possibilità di “fare l’esperienza della Tradizione” (secondo una formula che Mons. Lefebvre ha perorato per tanti anni, sicuramente per la maggioranza del tempo della sua resistenza), e all’attestazione della presenza di questioni dottrinali su cui allo stato attuale non c’è accordo, ma intenzione di discutere. Quanto però alle modalità di realizzazione non possiamo che rilevare, e porre ai diretti interessati, un problema di chiarezza e di verità; aspetti quest’ultimi, che alla FSSPX – in base alle ricorrenti dichiarazioni – dovrebbero stare sommamente a cuore.
Chiaramente non stiamo qui a ripetere tutte le cose già dette: i nostri precedenti articoli, “Il fallimento dei colloqui dottrinali della Fraternità San Pio X e la questione ordinariato tradizionale e “La necessità teologica ed ecclesiale di una “terza via”: né vortice “scismatico” né conformismo “allineato” (prima e seconda parte)”, sono disponibili su questa rivista per chiunque voglia consultarli con attenzione e obiettività. In questa sede concentreremo l’attenzione sugli sviluppi dell’articolo “Il fallimento dei colloqui dottrinali…” e sul dibattito che ne è scaturito.


Accordo possibile…
Come accennato, il Superiore del Distretto italiano alla valutazione su un fallimento delle discussioni ha replicato in questi termini:
«Penso che sia un errore pregiudiziale considerare i colloqui falliti. Questa conclusione è tirata forse da chi s’aspettava dai colloqui qualche risultato estraneo alle finalità dei colloqui stessi. Il fine dei colloqui non è mai stato quello di giungere ad un accordo concreto, bensì quello di redigere un dossier chiaro e completo, che evidenziasse le rispettive posizioni dottrinali, da rimettere al Papa e al Superiore generale della Fraternità». Quanto alla eventuale prossima offerta di un Ordinariato, essa «sarebbe presa serenamente in considerazione […]»[1].
A sua volta il Distretto tedesco afferma:
«tuttavia la questione dello status canonico non ha avuto finora risposta»[2].
In entrambe le dichiarazioni è presente un oggettivo possibilismo sulla realizzazione di un accordo canonico: e ciò sebbene, come riferisce anche uno dei quattro vescovi paventando l’accettazione, «tutti dicono che le Discussioni hanno confermato che nessun accordo dottrinale è possibile tra la FSSPX […] e la Roma di oggi […]». Prosegue il Vescovo: «la situazione dopo le Discussioni è esattamente la stessa che prima».[3]


 …malgrado il reale fallimento dei colloqui dottrinali
Osserviamo che, a dispetto di quello che anche noi avevamo scritto sul fallimento dei colloqui dottrinali, si dichiara oggi che la loro finalità sarebbe stata soltanto quella di far conoscere meglio le posizioni e che quindi essi sarebbero non già un fallimento, ma un successo. Ora questo è insostenibile per più ragioni:

1) Perché atti in cui le parti evidenziavano le rispettive posizioni esistevano già da tempo: ad esempio, la risposta di Roma ai Dubia presentati da Mons. Lefebvre (1987); ad esempio, gli studi di  Mons. de Castro Mayer (sulla Libertà religiosa e sul Novus Ordo Missae) e di Mons. Fellay (sull’odierno ecumenismo), trasmessi a Roma rispettivamente nel 1974 e nel 2004; ad esempio, le articolate risposte scritte di Mons. Lefebvre all’ex Sant’Uffizio sulle questioni controverse, agli inizi del pontificato di S.S. Giovanni Paolo II (ed oggi per nulla messe in valore dalla stessa FSSPX, malgrado le sollecitazioni scritte ricevute recentemente da un sacerdote del clero romano, che aveva assistito Mons. Lefebvre nella loro redazione). Se si fosse trattato solamente di completare l’insieme di tali scritti, allora l’accordo avrebbe potuto essere firmato già da anni: infatti, come abbiamo scritto, Roma già allora aveva dato disponibilità a concedere contestualmente due cose: la regolarizzazione canonica e una Commissione bilaterale teologica di approfondimento dei punti controversi. Ecône dunque ci ha ripensato ? Ora forse apprezza quello che qualche anno fa aveva disprezzato ? O era forse una questione pubblicitaria, per dare l’immagine di vittoria su una Roma che s’era infine arresa a discutere ?

2) Perché non era certamente “estraneo alle finalità dei colloqui stessi” - come invece oggi affermato - il risultato qui di seguito illustrato dai vertici della FSSPX, come obiettivo dichiarato. Le affermazioni non scarseggiano, ad esempio sulla necessità preliminare della conversione di Roma, ma, a titolo esemplificativo, ci limitiamo a riportare due testi significativi, il primo è di Mons. Fellay - già regnante Benedetto XVI - e il secondo è la Dichiarazione del Capitolo Generale:

      «Intravediamo tre tappe verso una soluzione della crisi: preliminari, discussioni, accordi […]. Se Roma concede i preliminari, converrà passare alla seconda tappa, cioè alle discussioni. Questa tappa sarà difficile, movimentata, e probabilmente abbastanza lunga […] in ogni caso, è impossibile ed inconcepibile passare alla terza tappa, e quindi prevedere degli accordi, prima che le discussioni siano riuscite a chiarire e correggere i principi della crisi»[4].

      «Infatti, i contatti che essa (la FSSPX) mantiene sporadicamente con le autorità romane hanno per unico scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico. Il giorno in cui la Tradizione ritroverà tutti i suoi diritti, “il problema della riconciliazione non avrà più alcuna ragione di essere e la Chiesa ritroverà una nuova giovinezza”»[5].



Chiediamo quindi alla FSSPX di rispondere pubblicamente alle seguenti domande: i principi della crisi sono oggi, grazie alle discussioni, non soltanto “chiariti” ma anche “corretti”? La Tradizione ha ritrovato oggi “tutti” i suoi diritti? Tra Ecône e Roma c’è oggi accordo dottrinale? Anche da quanto hanno detto sull’incontro di Assisi, proprio a ottobre, sembrerebbe di no… Dunque come mai oggi non sembra escludere, almeno di principio, quanto ieri aveva dato per «impossibile» e addirittura «inconcepibile»? Forse si sono resi conto della erroneità di tali dichiarazioni? Bene, in ossequio ai diritti della verità e per amor di chiarezza che lo dicano apertamente. Finora Mons. Fellay non ha spiegato neppure perché prima aveva detto[6] di non poter fare domanda scritta di ritiro del decreto di scomunica, giacché questo avrebbe comunque implicato un riconoscimento della validità di dette censure, e poi invece la domanda scritta l’ha fatta come nulla fosse.



Coi seguenti presupposti, quale accordo “dottrinale” è possibile?
Qualora non si riconoscesse di aver optato per il più modesto accordo pratico-canonico, arrampicandosi sugli specchi per nascondere “l’inversione a u”, ciò vorrà dire che l’eventuale accordo sarà ancora dato per dottrinale, come lo si pretendeva in ripetute dichiarazioni pubbliche. Alimentando la confusione. Ma ci si spieghi allora quale accordo dottrinale sarà coerente con le rigide posizioni tassativamente esposte, a seguito della procedura scelta, dalle parti dialoganti in questi ultimi anni. Tale infatti era il tenore della dichiarazione del Capitolo:
«Se, dopo la loro realizzazione, la Fraternità aspetta la possibilità di discussioni dottrinali, è solo al fine di far risuonare più fortemente nella Chiesa la voce della dottrina tradizionale. Infatti, i contatti che essa mantiene sporadicamente con le autorità romane hanno per unico scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico. Il giorno in cui la Tradizione ritroverà tutti i suoi diritti, “il problema della riconciliazione non avrà più alcuna ragione di essere e la Chiesa ritroverà una nuova giovinezza”»[7].

Queste le parole di Mons. Fellay:
«Non siamo disposti ad avallare il veleno che si trova nel concilio»[8].

Queste le dichiarazioni del Superiore del distretto italiano:
 «Tutti sanno che la Fraternità non accetterà mai né l’art. 31, né l’art. 19 [della Istruzione “Universae Ecclesiae”]»[9].

Né mancano altri esempi di cose che esponenti anche autorevoli di tale Fraternità rifiutano pubblicamente, anche in maniera totale e categorica; negli articoli di questo sito se ne può trovare un campione, appunto tutt’altro che esaustivo e talvolta addirittura sconcertante.

Queste le condizioni della Segreteria di Stato:
«Come già pubblicato in precedenza, il Decreto della Congregazione per i Vescovi, datato 21 gennaio 2009, è stato un atto con cui il Santo Padre veniva benignamente incontro a reiterate richieste da parte del Superiore Generale della Fraternità San Pio X. Sua Santità ha voluto togliere un impedimento che pregiudicava l'apertura di una porta al dialogo. […] La gravissima pena della scomunica latae sententiae, in cui detti vescovi erano incorsi il 30 giugno 1988, dichiarata poi formalmente il 1° luglio dello stesso anno, era una conseguenza della loro ordinazione illegittima da parte di Monsignor Marcel Lefebvre.
Lo scioglimento dalla scomunica ha liberato i quattro vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X, che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa cattolica. Anche i quattro vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa.

Per un futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI»[10].


Per onestà intellettuale
Visto che la FSSPX poneva l’accordo dottrinale addirittura come prospettiva “sine qua non” alla regolarizzazione canonica, ci si potrebbe accordare almeno sul testo delle dichiarazioni ? Infatti non risulta pubblicato l’originale della risposta di Mons. Fellay ai cinque punti (il cosiddetto “ultimatum”) di Roma. Mentre su un passo dottrinalmente importante della lettera con cui è stato ottenuto l’annullamento del decreto di scomunica circolano addirittura due versioni (pubblicate sulla rispettiva stampa): in base all’una, Mons. Fellay e FSSPX accettano fino al Vaticano I; in base all’altra, accettano fino al Vaticano II (quest’ultimo con delle riserve). Per loro natura, documenti del genere sono atti pubblici: come mai ne sono circolati due testi virgolettati diversi? Quale dei due corrisponde all’originale? Cosa esattamente ha firmato Mons. Fellay? È possibile, «nell’intento della più grande trasparenza possibile», pubblicare entrambe le lettere?

Un’ultima considerazione. Se la FSSPX accetterà la regolarizzazione canonica, se in ogni caso ora, tramite suoi autorevoli esponenti, vi si mostra disponibile nonostante «tutti dicono che le Discussioni hanno confermato che nessun accordo dottrinale è possibile», allora i casi possibili sono due. O la FSSPX ha capito di aver sbagliato nell’escludere, addirittura ontologicamente, la regolarizzazione senza previo accordo dottrinale e ha cambiato idea (ma questo, per onestà intellettuale, andrebbe dichiarato). O ha voluto alzare la posta, usando tale materia per ottenere maggiori concessioni pratiche.

In questa seconda, gravissima eventualità potrebbe inquadrarsi anche la dimenticanza del Superiore italiano, che nella suddetta intervista afferma: «l’unico prelato che non ha mai cessato di celebrare pubblicamente nel rito tradizionale, allora erroneamente considerato abrogato e bandito, è stato il fondatore della Fraternità San Pio X». Senza nulla togliere al «venerato» Mons. Lefebvre, «un grande uomo di Chiesa»[11], c’è però da obiettare: e Mons. de Castro Mayer? Forse che questo prelato «ha […] cessato di celebrare pubblicamente nel rito tradizionale»? O forse che, non essendo oggi strumentalizzabile a pro dell’attuale FSSPX, anche se non ha mai cessato, è conveniente non ricordarlo ?

Un altro interrogativo richiede risposta. Come mai l’intervento del vescovo Williamson sembra evocare la presenza «già nel 2001» di problemi pratici all’accordo (sulle nomine di futuri vescovi e superiori della FSSPX), allorquando Mons. Fellay ci aveva riferito che le offerte di Roma erano ottime e convenientissime alla Fraternità sotto il profilo pratico, ma questa non poteva accettare solo per i motivi filosofico-teologici sopra ricordati?

Anche per fugare ogni dubbio di “mercificazione” delle questioni dottrinali per avere vantaggi praticissimi, per giunta dietro l’immagine di un loro disprezzo, chiediamo pubblicamente a Mons. Fellay di riconoscere con umiltà e chiarezza che certe passate affermazioni – con i relativi criteri, mentalità e impostazione – vanno profondamente corretti.


 La Redazione di Disputationes Theologicae







[1] Intervista al Superiore del Distretto Italiano della FSSPX, tratta dal sito del Distretto italiano della  FSSPX, luglio 2011, http://www.sanpiox.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=323:intervista-a-don-davide-pagliarani&catid=35:info-sulla-fsspx&Itemid=123
 
[2] «[…], jedoch wurde die Frage nach dem kirchenrechtlichen Status bislang nicht beantwortet», (http://www.piusbruderschaft.de/startseite/archiv-news/734-beziehungen_zu_rom/5766-generaloberer-nach-rom-gebeten).
 
[3] Mons. R. Williamson, Commentaire Eleison del 20 agosto 2011, http://tradinews.blogspot.com/2011/08/mgr-williamson-commentaire-eleison-les.html
[4] Mons. Fellay, in Fideliter n. 171, maggio-giugno 2006, pp. 40-41.
[5] Dichiarazione dell’ultimo Capitolo generale della FSSPX, Roma felix,luglio-agosto 2006, p. 6; la Dichiarazione è stata fatta «nell’intento della più grande trasparenza possibile, e per evitare anche qualsiasi falsa speranza o illusione».
[6] Ad esempio, nell’omelia del 2 febbraio 2006 a Flavigny.
 
[7] Dichiarazione dell’ultimo Capitolo della FSSPX (cfr nota 5).

[8] Omelia di mons. Fellay a Saint-Malô, nella S. Messa dell’Assunta 2008.

[9] Intervista al Superiore del Distretto italiano (cfr nota 1)

[10] Nota della Segreteria di Stato Vaticana, 4 febbraio 2009.
[11] Secondo le espressioni del Pontefice regnante nell’udienza dell’estate 2005.